giovedì 13 novembre 2008

Il silenzio degli innocenti

Il silenzio degli innocenti
di Edgardo Rossi

L’umanità sta vivendo un paradosso logico, alcuni uomini, con l’appoggio di una larga fetta dei media, vogliono convincere un’umanità ormai ridotta a pubblico passivo che quello che sta avvenendo in Medio Oriente è una guerra preventiva, che gli omicidi mirati, i bambini feriti ed uccisi in azioni belliche, la morte per fame, dissenteria e per causa di quanto di peggio una terra martoriata da conflitti possa produrre, sono sacrifici necessari alla convivenza civile. Meglio ancora alcuni uomini stanno spiegando ad altri che su questo pianeta è in corso una giusta guerra (crociata?) delle civiltà contro le barbarie. Quasi una parola d’ordine che deve penetrare nelle orecchie del pubblico plaudente, che deve diventare parte intima della coscienza di ognuno.
Forse a molti è sfuggito che proprio questo è il pericolo, credere di essere dalla parte della ragione, le peggiori nefandezze della storia della martoriata umanità sono nate da questa semplice convinzione.
Sono trascorsi oltre quarant’anni da quando lo psicologo sociale statunitense Stanley Milgram ipotizzò e verificò, con un’inquietante teoria supportata da un altrettanto inquietante esperimento, quanto pericoloso possa diventare un qualsiasi pacifico e tranquillo uomo convinto di agire per il bene o legittimato da una qualche autorità riconosciuta come giusta e/o democratica.
Per essere più chiari Milgram dimostrò come un qualsiasi onesto cittadino, posto di fronte ad un’autorità riconosciuta come legittima e motivato da una forte pressione conformistica sorretta da una credibile giustificazione ideologica, possa trasformarsi in un ligio esecutore di ordini criminali. Tale dimostrazione intaccava non poco la certezza con cui molti sostenevano (e sostengono) l’unicità della Shoah, dimenticandosi per altro i tanti massacri e le tante brutalità della storia anche recente. Per creare l’inferno in Terra non sono necessari mostri o mandanti, basta che si crei, non importa come, la “giusta” situazione sociale.
Se osserviamo la realtà con l’occhio del sociologo, ci accorgiamo che la differenza tra vittima e carnefice è spesso dovuta ad una banale differenza di posizione nella cosiddetta “gerarchia burocratica”. Ne nasce una visione poco rassicurante, spesso a decidere l’azione anche del singolo individuo non è l’etica, ma sono le regole oggettive del gioco, sono queste a trasformare in torturatore chi, se non ci fosse la situazione, non solo non ricorrerebbe alla violenza ma la condannerebbe.
Milgram provò la sua ipotesi con degli esperimenti che ancora oggi lasciano turbati, egli fece somministrare da uomini comuni, presi a caso, delle scariche elettriche ad innocenti (in realtà attori ben preparati nella parte). Chi somministrava le scariche era legittimato nella sua azione da una tranquillizzante rassicurazione, l’ordine veniva loro dato da un uomo in camice bianco che giustificava quanto avveniva come normali esperimenti scientifici. Tale motivazione era sufficiente a far sì che la quasi totalità dei “torturatori occasionali” continuasse a somministrare scariche elettriche nonostante che le “vittime-attori” si dimenassero dal dolore e implorassero di farla finita. A spingerli a continuare nell’azione era la flebile certezza di agire in modo legittimo, l’autorità rappresentata dall’uomo in camice bianco. Sorge spontanea l’agghiacciante domanda: “cosa può fare un uomo se motivato da Grandi Valori quali la Patria, la Democrazia, la Religione… ?”.
Concluso l’esperimento e posti i “torturatori occasionali” di fronte alle loro azioni i più si giustificavano semplicemente rispondendo che: “stavano facendo il loro lavoro”, “che avevano eseguito quanto loro era stato ordinato”. Come se il lavoro altro non fosse che un’attività da eseguire senza alcuna riflessione, senza preoccuparsi di quali esiti esso comporti. Non è forse questo il modo di ragionare di molti uomini in carriera?
Milgram fece anche notare come la rinuncia da parte di alcuni (circa il 15% dei “buoni cittadini” coinvolti) a proseguire nell’esperimento costasse un notevole dispendio psichico, una sorta di crisi individuale, che non tutti sono in grado di sostenere. Questo perché chi riesce a fermarsi deve rivedere la sua azione e riconoscere che fino a quel momento ha operato in modo sbagliato, contravvenendo all’alibi rassicurante delle regole comuni.
Il rischio del paradosso in corso è che si venga a creare l’intima e sincera convinzione che l’umanità sia divisa in una parte giusta e in una parte sbagliata, una volta creata questa divisione qualsiasi azione rischierà di diventare legittima, tanto l’orrore che succederà altro non sarà che un “lavoro ben svolto, un lavoro che non si poteva interrompere”.