domenica 28 novembre 2010

Favola cinese di Silvano Baracco

CAPITOLO VIII

Favola cinese
di Silvano Baracco
Nel tempo del regno Shi-tzu, circa settantasette secoli prima che Siddharta Gautama vi portasse il suo verbo illuminato, l'ultimo regnante della dinastia Shi-tzu-Yang vide, durante la sua passeggiata mattutina, una ragazza dai lunghi capelli chiari che indossava un abito corto, di colore rosso. Il Re, che era un uomo di ardenti e subitanee passioni, se ne innamorò al primo sguardo, e si disponeva ad esternare alla ragazza quel suo sentimento, quando il tarlo dell'indecisione penetrò il suo pensiero, e ragionò tra sé: "Se io mi presento a lei in abiti e con insegne regali, corro due gravi rischi: di fronte ad un suo eventuale rifiuto la mia autorità e il mio onore ne risulterebbero irrimediabilmente lesi; d’altro canto, una sua accoglienza dei miei desideri, espressi come Re, resterebbe per sempre turbata dal dubbio che ella abbia amato non già la mia persona, ma piuttosto il mio onorevole ruolo. Se poi mi presentassi a lei sotto false insegne, magari nei panni di un qualsiasi cortigiano, potrei più facilmente giudicare la sincerità di una sua risposta e delle sue intenzioni, ma nel momento in cui dovrò necessariamente svelarle il segreto, ella potrebbe sentirsi offesa da questa finzione, tramutando l'amore, già prima conquistato, in dispregio." Non riuscendo a risolvere questi dubbi, decise di chiedere consiglio al Grande Saggio senza nome e senza dimora, che proprio in quei giorni aveva fermato il suo cammino appena fuori dalle mura della città. Vi si recò, titubante, in quello stesso giorno. Il Grande Saggio, giovane d'aspetto quanto antichissimo per sapienza, avvolto in un ampio mantello bianco privo di cintura, con una barba foltissima e lunga, i capelli raccolti in un ampio turbante, era immobile, accovacciato su di una stuoia, assorto in profonda meditazione. Solo dopo molti minuti da che il Re, in silenzio, si era fermato proprio di fronte a lui, aprì i suoi occhi smeraldini e fissò lungamente lo sguardo del Re. Poi gli chiese, appena sussurrando, quale fosse il rovello che lo aveva spinto a richiedere il suo consiglio. Il Re gli narrò dei suoi dubbi. A questo punto il Grande Saggio cominciò, sempre appena sussurrando le sue parole, un lungo discorso sull'unità delle cose e sul loro eterno fluire; parlò dell'anima, del moto degli astri, della musica e della matematica, mostrandogli l'armonico nesso fra tutte queste cose. Parlò così per diverse ore, senza affatto che il Re si sentisse annoiato, né stanco, pur essendo sempre all'impiedi, ma semmai sollevato, leggero e in pace con sé stesso come mai prima di allora. Ad un certo momento il Grande Saggio tacque, e senza mai distogliere i suoi occhi smeraldini dal viso del Re, lo invitò a sedersi di fronte a lui, poi si raccolse per qualche istante in una leggera meditazione e quindi gli parlò direttamente del problema che era venuto ad esporgli:
- Onorevole Signore, come puoi tu ritenere di amare la ragazza di cui parli, se dimostri di non conoscerne affatto i sentimenti? Tu quindi non ami la persona che è in lei, ma soltanto il suo aspetto esteriore, i suoi lunghi capelli chiari e il suo abito rosso. Sei Re, hai potere di discernimento sulla vita di molti, e dimostri di non saper discernere la paglia dal fiore riguardo il sentimento dell'amore. D'altra parte, voglio porti un quesito: tu oggi hai potuto imparare a conoscermi a fondo, hai penetrato, sin negli angoli più remoti, le profondità del mio sentimento, attraverso le mie parole e il mio sguardo, dai quali hai attinto la felicità e il benessere a piene mani. Ora ti domando: potresti tu, ora, innamorarti di me?
- Venerabile Maestro, con il rispetto e la riconoscenza che sento di doverti, la mia risposta è no, e non vedo come potrebbe essere altrimenti.
- Vai dunque, giovane Re. Ritorna alla tua onorevole residenza, a meditare sulla tua stoltezza.
Detto questo, il Grande Saggio rinchiuse i suoi occhi smeraldini ed entrò in una profonda, imperturbabile meditazione. L'ultimo regnante della dinastia Shi-tzu-Yang ritornò, tristemente, nella sua reggia, e non vi uscì per il resto dei suoi giorni.
Verso il tramonto, il Grande Saggio uscì dalla meditazione, si spogliò della lunga tunica bianca, si tolse la lunga e folta barba finta, si levò il turbante, sciogliendo al vento i suoi lunghi capelli chiari, indossò il suo corto abito rosso, e se ne andò per sempre da quella città.