martedì 9 dicembre 2008

Pausa di ristoro e riflessione


Pausa di ristoro e riflessione

Origine della Filosofia oggi?

Origine della Filosofia oggi?
di Giorgio Minucci
La filosofia si definisce per la sua ricerca sull’insieme piuttosto che sulle parti, in qualsiasi settore o dimensione essa si svolga: dimensione metafisica, ontologica, etica, politica, sociale, estetica, logica, gnoseologica. In qualunque settore, la filosofia si interroga sulle questioni essenziali. Che cosa è essenzialmente metafisico? Essenzialmente ontologico? Essenzialmente etico? È chiaro che le risposte dipendono dalle differenti filosofie. Perché le filosofie differiscono? Riflettere su queste differenze significa chiederci se esista o meno una condizione espistemologica per la filosofia, che in qualche modo spieghi e legittimi la differenza tra le filosofie. Tale interrogativo però richiede una soluzione a mio avviso difficile, estremamente complessa.
Iniziamo allora a chiederci perché vi sono diverse filosofie. Al di là di qualunque risposta possiamo dare, il problema è che anche la risposta stessa può essere il frutto di una filosofia, dunque essa può essere diversa a seconda delle differenti filosofie. Per esempio un marxista, in base alla sua filosofia, non esiterebbe ad affermare che le filosofie si differenziano a seconda dei diversi contesti storico-materiali; un weberiano, invece, che parte da un altro presupposto filosofico (ogni azione umana in quanto tale è dotata di senso) non esiterebbe a rispondere che le filosofie si differenziano per i diversi contesti etico-culturali. Come si vede la filosofie orientano risposte essenziali sulla base di presupposti filosofici, che a loro volta hanno, comunque sia, una loro dignità filosofica, nel senso che sono presupposti filosoficamente assunti, la cui critica o accettazione viene mediata rispettivamente da un’altra o dalla propria filosofia. Il discorso che stiamo facendo serve per mostrare che in realtà non esiste una Filosofia delle filosofie, una Filosofia che stabilisca l’esito del filosofare in una direzione piuttosto che in un’altra. La filosofia vive di sé. Delle sue riflessioni, delle sue ricerche, della sua libertà, della sua assenza di presupposti estrinseci, oggettivamente dati. Essa è epistemologicamente autonoma. L’unico divieto è il dogma. Chi pretende di filosofare partendo da assunti che non sono anche il risultato di una libera critica riflessiva, in realtà avanza una pretesa ideologica, non criticamente fondata. Ma cosa significa critica, fondazione, ideologia, che cosa tali termini significhino in sé, in modo assoluto, questo non può essere stabilito una volta per tutte. I significati di tali termini, ancora una volta, dipendono dalle differenti filosofie. Tutto ciò però non attesta un circolo vizioso, ma il fatto incontestabile che la critica, la libertà, la fondazione eccetera, al di là dei contenuti teoretici differenti di cui si riempiono, sono modalità, atteggiamenti peculiari del filosofare, che avanza con il suo stile interpretativo.
In questo senso la filosofia nasce in Grecia, perché in questa terra per la prima volta, per quel che ne sappiamo, lo sguardo umano si interroga criticamente sull’essenza delle cose. Non importa che tale essenza sia l’acqua piuttosto che il fuoco o l’infinito o l’aria. Importa che la risposta sia stata ricercata criticamente attraverso un’indagine razionale.La razionalità di cui si serve la filosofia però non è quella della spiegazione scientifica, è semmai la coerenza critica del discorso per cui le conclusioni conseguono dalle premesse, che sono tali per il fatto che per il modo in cui sono assunte risultano le più evidenti. Anche qui tocchiamo un argomento difficile eppure molto interessante. La filosofia parte dall’evidenza di ciò che le si mostra. Attraverso la riflessione critica importa che in un modo o nell’altro si arrivi all’evidenza. Essa può essere presentata, dopo una lunga ricerca, da un dato empirico, da un’intuizione che sorge dall’animo, oppure si rinviene attraverso un’analisi filologica o semantica di un termine, di una tradizione, di una religione. La filosofia, comunque sia, argomenta criticamente, partendo dall’evidenza di ciò che le si manifesta attraverso un libero esame. Ma a sua volta il libero esame critico, riflessivo, presuppone un’evidenza radicale, ineludibile: la meraviglia dell’essere, il sentimento che l’essere non sia nulla di scontato. Qui tocchiamo l’animo del filosofare, che è forse l’unica condizione necessaria anche se non sufficiente della sua possibilità: il sentimento che nulla non sia degno di essere oggetto di meraviglia e interrogazione. Lo sguardo filosofico è fanciullesco e al tempo stesso molto impegnativo. Chiede il senso dell’essenza delle cose, con ingenuità disarmante rispetto all’ordinarietà. In questo senso la filosofia è criticità radicale grazie alla meraviglia dell’Essere. In questo senso spostiamo l’attenzione verso un altro argomento: è molto difficile essere filosofi nelle condizioni attuali del nostro sistema sociale. In effetti la burocratizzazione dell’esistente sociale, attraverso organigrammi e mansionari più o meno formali atti a garantire l’ingranaggio e l’ordine vocazionale per i ruoli, è così conformante l’identità personale, che questa non sa più porsi nell’ottica della Meraviglia; immediatamente la preclude con procedure che la squalificano in quanto non amministrabile, perciò viene letteralmente rimossa. È difficile oggi trovare un filosofo che in occasioni pubbliche reciti il suo pensiero senza procedure burocratiche. La filosofia, dal momento che assume come sua propria condizione la riflessione critica e interpretativa meravigliata, mai come oggi è nella condizione di dovere e poter assumere come sua propria condizione anche la critica irriducibile della Modernità, profilandosi per uno stile radicalmente umanistico. Storicamente parlando, questa le è la condizione più fondamentale, non solo perché la filosofia è costitutivamente critica verso la Modernità, ma anche perché ogni compromesso con la Modernità le toglie la fonte da cui scaturisce: la Me