giovedì 4 dicembre 2008

Porta verso...


Anassagora

Anassagora
(Clazomene ca 495 a.C. - Lampsaco ca 428 a.C. )
1.Vita e opere. Scrisse un trattato “Sulla Natura” di cui ci sono giunti 22 frammenti. Nei suoi scritti evidenti paiono le influenze di Anassimene, Parmenide, Zenone e, forse, di Empedocle. Di lui sappiamo che era già noto nel 462, per l’originalità delle sue teorie e che viaggiò molto prima di stabilirsi ad Atene, provenendo dalla Ionia, dove per primo parlò di filosofia e aprì una scuola dove insegnò per oltre trent’anni. Suoi allievi furono Euripide, Archelao e, si pensa, lo stesso Socrate.
Amico personale di Pericle fu coinvolto nelle vicissitudini del suo protettore. Nel 432 fu accusato di empietà e processato. Gli accusatori gli contestarono il fatto d’aver sostenuto dottrine sui corpi celesti contrarie alla tradizione e di aver negato l’esistenza degli dei. In realtà le motivazioni dell’accusa erano un mezzo per colpire lo stesso Pericle. Le accuse lanciate contro Anassagora erano una critica diretta alla politica democratica e da sempre aperta alle novità culturali promossa dal circolo di Pericle. Per tali motivi il filosofo fu obbligato a rifugiarsi a Lampsaco in Asia Minore, dove aprì un’altra scuola e dove morì.
2. La teoria dei semi. Anassagora è un filosofo pluralista, che propone come base dell'esistere delle piccole particelle dette “semi” (in greco spérmata, che Aristotele chiamò in seguito omeomerie = realtà che nella suddivisione danno sempre parti qualitativamente identiche, ma alcuni studiosi non escludono che il termine sia anassagoreo), le quali si aggregano e disgregano seguendo l'intervento di un principio intelligente o “Mente ordinatrice” (in greco Nous). Egli ammette, con Parmenide, l’omogeneità e l’unità del tutto, concetto che può essere espresso nella frase: nulla nasce o perisce, ma tutto si unisce o si separa, perché la totalità della cose è sempre uguale a se stessa. Ma non accetta che l’essere sia immobile e indeterminato. Anassagora afferma che tutto è in tutto, e cioè che ogni cosa o essere vivente contiene seppure in minima parte le particelle delle altre sostanze, e che “da tutto, tutto si genera”. Questa concezione gli permette di spiegare in modo non contraddittorio il divenire, in particolare il nascere e il morire, come sviluppo di qualità intrinseche e già esistenti e non come il crearsi o il distruggersi di nuove o vecchie qualità.
Osserviamo in maniera più approfondita le teorie di Anassagora, evidenziandone meglio le caratteristiche.
Affermando che il nascere e il morire non esistono realmente Anassagora accetta le tesi eleatiche, ma pensando all’universo come un qualcosa in perenne divenire occhieggia alle tesi eraclitee. Egli afferma che esistono delle "cose che sono", che, componendosi e scomponendosi, danno origine al nascere e al morire di tutte le cose; questi principi però non possono essere solo le quattro radici di Empedocle. I quattro elementi: Acqua, aria, terra e fuoco non sono sufficienti a spiegare le innumerevoli qualità che si manifestano nei fenomeni. È dunque ovvio che gli elementi da cui derivano tutte le cose dovranno essere tanti quante sono le innumerevoli quantità delle cose stesse, cioè "semi aventi forme, colori e gusti di ogni genere", vale a dire infinitamente vari. Sono proprio questi semi l'originario qualitativo che Anassagora ci propone eleaticamente non solo perché è ingenerabile (eterno), ma anche perché è immutabile (nessuna qualità si trasforma nell'altra, essendo appunto originaria). Insomma tali infiniti originari sono pensati con le stesse caratteristiche dell'Uno di Melisso.
Va aggiunto che i semi non sono solo infiniti di numero (e quindi considerati nel loro complesso per le loro infinite qualità), ma risultano infiniti anche se presi ciascuno singolarmente, ossia sono infiniti anche in quantità. Dunque non hanno limite in grandezza (sono inesauribili e possono aumentare all’infinito) e nemmeno nella piccolezza, perché possono essere divisi all'infinito, senza che la divisione possa arrivare al nulla (dato che il nulla non è). Forte di tale convinzione Anassagora afferma che si può dividere all'infinito qualsivoglia seme (qualsiasi sostanza-qualità) in parti sempre più piccole, e le parti che si otterranno saranno sempre della medesima qualità, le famose omeomerie.
Partendo da tali basi Anassagora costruisce la sua teoria cosmologica. Originariamente la totalità dell’essere è una mescolanza caotica (detta migma) in cui tutto era mescolato insieme e in cui sono contenuti tutti i principi (i semi) di cui saranno costituiti tutti i corpi. Su tale massa caotica interviene l’intelligenza ordinatrice, il nous, la quale è formata da materia più leggera e sottile risultando quindi separata dagli altri semi che ordina e governa. L’intelletto ordinatore determinò un movimento che produsse una ben ordinata mescolanza da cui scaturirono tutte le cose. Platone ed Aristotele, riflettendo su questo punto, riconobbero ad Anassagora il merito di aver introdotto nella natura un principio finalistico, introducendo tale concetto nell’ambito della ricerca filosofica.
Anassagora però andò oltre nelle sue riflessioni e affermò che ciascuna e tutte le cose sono ben ordinate mescolanze, in cui esistono tutti i semi di tutte le altre cose, anche se in misura piccolissima e variamente proporzionati. Operando sui semi il nous li ripartisce nelle varie cose in proporzioni diverse, in modo che in ogni punto del cosmo tutte le qualità siano sempre rappresentate (secondo la regola: tutto è in tutto), dando anche vita all’immagine di un universo infinito (con più mondi simili in tutto e per tutto alla terra). In tal modo il filosofo di Clazomene cercava anche di spiegare i fenomeni naturali di trasformazione e assimilazione. In pratica egli affermava: è la prevalenza di questo o di quest'altro seme che determina la differenza delle cose ed è per tale motivo che la focaccia (il grano), mangiata e assimilata, diventa capello, carne, osso e tutto il resto; perché nella focaccia ci sono i semi di capello, di carne, di osso e di tutto il resto (Anassagora afferma testualmente: "Come infatti potrebbe prodursi da ciò che non è capello il capello e la carne da ciò che non è carne?"). L’uomo non si accorge di ciò a causa della debolezza dei suoi sensi che gli permettono di cogliere solo le qualità dei semi quantitativamente prevalenti. Con tali concetti Anassagora tentava di salvare l'immobilità sia "quantitativa" sia "qualitativa", affermando che: nulla viene dal nulla né va nel nulla, ma tutto è nell'essere da sempre e per sempre, anche la qualità apparentemente più insignificante.
Ma le proprietà dell’intelletto non finiscono qui, è il nous che ordina il movimento degli astri, che non sono divinità ma “fuoco, terra e pietra”. L’intelletto ordinatore appare come un qualcosa di veramente innovativo, come l'intuizione di un principio che è una realtà infinita, separata da tutto il resto, la "più sottile" e "più pura" delle cose, uguale a se stessa, intelligente e sapiente. Con Anassagora ci avviciniamo alla scoperta dell’immateriale, tema che verrà ripreso da Platone ed Aristotele e che resta uno dei punti più controversi delle speculazioni filosofiche.
3. L’importanza del lavoro. Anassagora fu però anche uno spirito pratico, diede un grande impulso alla ricerca naturalistica, che egli fondò sull’esperienza, la memoria e la tecnica. La tradizione gli attribuisce anche la spiegazione razionale delle eclissi e della respirazione dei pesci, e ricerche sull’anatomia del cervello, di cui forse per primo intuì la funzione. Egli rivide anche la teoria della conoscenza affermando, al contrario di Empedocle, che la sensazione è prodotta negli uomini non dalle cose simili, ma da quelle dissimili. Gli uomini percepiscono il freddo con il caldo, il dolce con l’amaro, e ogni qualità con la qualità opposta; è solo l’assenza di una qualità determinata che ci consente di coglierla tramite i sensi quando essa si presenta nelle cose. Da qui la nota affermazione: il simile conosce il dissimile.
Anassagora considerò il lavoro e le attività tecniche come strumenti essenziali nella formazione degli uomini. Solo le conoscenze tecniche potevano garantire un autentico sapere, solo l’attività lavorativa rendeva l’uomo veramente tale. In un suo frammento (DK 59 A 102) Anassagora afferma: “L’uomo è il più intelligente degli animali in virtù del possesso delle mani”, si tratta di un’importante intuizione, sono l’esperienza e il lavoro che permettono all’uomo di raffinare le capacità mentali, senza tali attività le capacità umane rimarrebbero ad un livello molto basso. È attraverso le tecniche che l’uomo si fa uomo distinguendosi dagli animali ed elevandosi alla condizione di essere razionale.

Testi.

Da “Sulla natura” di Anassagora

Fr. 1 Diels-Kranz
Insieme erano tutte le cose, illimitate per quantità e per piccolezza, perché anche il piccolo era illimitato. Stando tutte assieme nessuna era discernibile a causa della piccolezza, su tutte predominava l’aria e l’etere, essendo entrambi illimitati, sono infatti queste nella massa totale le più grandi per quantità e per grandezza.

Fr. 2 Diels-Kranz
Perché l’aria e l’etere si separano dal molto che li avvolge e tale avvolgente è illimitato per quantità.

Fr. 3 Diels-Kranz
In effetti del piccolo non c’è il minimo ma sempre un più piccolo (infatti è impossibile che ciò che è non sia) ma anche del grande c’è sempre un più grande, e per quantità è uguale al piccolo e in rapporto a se stessa ogni cosa è grande e piccola.

Fr. 4 Diels-Kranz
Stando così queste cose, bisogna ritenere che molte cose e di ogni genere si trovino in tutto ciò che viene ad essere per agglomerazione e semi aventi forme, colori e gusti di ogni genere. E si condensarono uomini e tutti gli esseri viventi e quanti hanno sensibilità. E questi uomini hanno città abitate ed opere manufatte, come noi, ed essi hanno il Sole e la Luna e tutte le altre cose come noi, e la terra produce loro molte cose e di ogni genere, delle più utili delle quali fanno uso, dopo averle raccolte nelle loro dimore. Questo dunque ho detto sulla formazione per separazione, perché non solo da noi è possibile il processo di formazione, ma anche altrove.
Prima che queste cose si separassero, essendo insieme tutte le cose, non era distinguibile neppure alcun colore. Era infatti d'ostacolo la mescolanza di tutte le cose, dell'umido e dell'asciutto, del caldo e del freddo, del luminoso e dell'oscuro e di molta terra che vi si trovava, e dei semi illimitati in quantità, in nulla simili l'uno all'altro. Infatti neppure delle altre cose in nulla rassomiglia l'una all'altra. Stando così queste cose bisogna ritenere che nel tutto ci siano tutte le cose.

Fr. 5 Diels-Kranz
Una volta che queste cose si sono divise in tal modo, bisogna riconoscere che tutte le cose non sono né di meno né di più (perché non è possibile che siano più di tutte) ma tutte sempre uguali.

Fr. 11 Diels-Kranz
In ogni cosa c’è parte di ogni cosa, ad eccezione dell’intelletto, ma ci sono cose nelle quali c’è anche l’intelletto.

Fr. 12 Diels-Kranz:
Tutte le altre cose hanno parte di ogni cosa, ma l'intelletto è illimitato, indipendente e non mescolato ad alcuna cosa, ma sta sola in sé. Se infatti non stesse in sé, ma fosse mescolato a qualche cosa d'altro, parteciperebbe di tutte le cose, se fosse mescolato a qualcuna. In tutto si trova infatti parte di ogni cosa, come ho detto prima, e le cose mescolate gli sarebbero d'ostacolo, sì che non avrebbe potere su alcuna cosa, come lo ha stando solo in sé. È infatti la più sottile e più pura di tutte le cose e possiede piena conoscenza di tutto e ha grandissima forza. E quante cose hanno vita, le maggiori e le minori, tutte domina l'intelletto. E sull’intera rivoluzione l’intelletto ebbe potere sì da avviarne l’inizio. E per prima cosa ha dato inizio a tale rivolgimento dal piccolo, poi la rivoluzione diventa più grande e diventerà più grande. E le cose che si mischiano insieme si separano e si dividono, tutte l’intelletto ha conosciuto. E qualunque cosa doveva essere e qualunque fu che ora non è, e quante adesso sono e qualunque altra sarà, tutte l’intelletto ha ordinato, anche la rotazione in cui si rivolgono adesso gli astri, il sole, la luna, l’aria, l’etere che si vengono separando. Proprio questa rivoluzione li ha fatti separare e dal raro per separazione si forma il denso, dal freddo il caldo, dall’oscuro la luce, dall’umido al secco. In realtà molte cose hanno parte a molte cose. Ma nessuna si separa o si divide del tutto, l’una dall’altra, ad eccezione dell’intelletto. L’intelletto è tutto uguale, quello più grande e quello più piccolo. Nessun'altra cosa è simile ad altra, ma ognuna è ed era la cosa più appariscente che in essa sono in misura massima.

Fr. 13 Diels-Kranz
Dopo di che l’intelletto dette inizio al movimento, dal tutto che era mosso cominciarono a formarsi le cose per separazione e quello che l’intelletto aveva messo in movimento tutto si divise. E la rotazione di quanto era mosso e separato accresceva di molto il processo di separazione.

Fr. 17 Diels-Kranz
Ma del nascere e del morire non considerano correttamente i Greci: nessuna cosa infatti nasce e muore, ma a partire da cose che sono si produce un processo di composizione e divisione; così dunque dovrebbero correttamente chiamare il nascere comporsi e il morire dividersi.

Empedocle

Empedocle
Agrigento nato intorno al 484/481 a.C. e morto intorno al 424/421 a.C
1. Vita e opere. Empedocle nacque ad Agrigento, fu filosofo, mistico, medico e godette fama di taumaturgo. Della sua vita conosciamo poco, fu a capo della fazione democratica di Agrigento, per un certo periodo fu esiliato nel Peloponneso. Uomo dalla grande personalità seppe conquistarsi una notevole fama, si narra che gruppi di discepoli lo accompagnassero ovunque. Intorno alla sua figura fiorirono numerose leggende, sembra che molti lo considerassero una divinità e che lui stesso contribuisse ad accreditare tale fama. Leggendaria è anche la sua fine che diede addito a numerose storie, fra esse famosa sono quella che lo vorrebbe morto durante un'eruzione dell'Etna (ma i suoi detrattori affermavano che lui stesso si fosse gettato in una bocca del vulcano per far sparire il suo corpo, tradito però dal fatto che nei pressi del luogo della sua scomparsa sarebbe stato ritrovato un calzare) e quella che lo vorrebbe trasportato in cielo tra gli dei su di un carro alato.
2. Pensiero ed opere. Espose le sue dottrine in versi come già aveva fatto Parmenide, una scelta che nell’antichità fu seguita poi solo da Lucrezio (con il noto poema De rerum natura, dove per altro compare un famoso elogio dedicato proprio al filosofo agrigentino). Delle sue opere ci sono rimasti circa 40 versi di un poema Sulla natura e 120 versi di un altro poema, Le purificazioni o Carme lustrale, quest'ultimo di contenuto religioso e misterico, con forti influenze orfiche.
Empedocle è il filosofo presofista di cui ci sono pervenuti il maggior numero di frammenti dei suoi scritti, nonostante ciò l’interpretazione del suo pensiero è considerata dagli studiosi tra le più difficili e controverse. In particolare si è cercato di chiarire il legame tra i due poemi i cui contenuti (naturalistico il primo, religioso il secondo) appaiono a molti difficilmente conciliabili. Alcuni studiosi (come E. Zeller e E. Bignone) hanno basato le loro analisi su talune interpretazioni cristiane, ponendo nelle antiche filosofie greche le eresie gnostiche, partendo da tale punto di vista essi hanno ipotizzato che la cosmologia empedoclea dovesse essere vista come una sorta di escatologia segreta, anticipatrice della fase mistico-religiosa, cioè orfica.
Più credibile appaiono interpretazioni basate sulle testimonianze più antiche (e tradizionali), risalenti principalmente a Simplicio, che mettono in mostra la connessione delle teorie di Empedocle con i problemi della scuola eleatica. Tali ipotesi di studio sono state proposte in particolare da; J. Bollack, G. Calogero, G. Reale, C. Ramnoux.
D’altronde sono numerosi i richiami alla teoria parmenidea negli scritti di Empedocle, giustamente famosi sono i frammenti 8 e 11 (Diels-Kranz): “Un’altra cosa ti dirò: non c’è alcuna nascita, né alcuna fine dovuta a morte funesta, ma solo mescolanze e cambiamenti di cose frammiste, che gli uomini chiamano nascita” e “Stolti! Siccome non hanno pensieri di ampia veduta, essi credono che possa nascere ciò che prima non era o che qualcosa possa perire e andare completamente distrutta”.
Proprio da tali scritti sappiamo che il filosofo di Agrigento riconosce la necessità e l’eternità dell’essere, ma egli cerca anche, con grande originalità, di conciliare tale posizione con il divenire, quel perenne mutamento che l’esperienza ci dimostra.
3. Le quattro radici e le due forze. Empedocle dice che alla base della vita ci sono le quattro radici (rhizomata) eterne della realtà, ovverosia quelli che in seguito verranno chiamati quattro elementi: fuoco, acqua, aria (o etere) e terra. Esse in origine si trovano riunite in uno sfero dove nessun elemento prevale sugli altri, le due forze opposte (secondo il principio del contrasto delineato da Eraclito) di Amore e Odio operando sugli elementi li disgregano e generano la vita, il procedimento dà origine, in tal modo, ad un ciclo cosmico tendente a far prevalere l'amore, ma dove l'azione delle due forze è eterna aggregazione e disgregazione. Empedocle identifica le quattro radici con Zeus, Era, Edomeo e Nesti, essi sono i principi (archái) già presentati dagli ionici, ma mentre per quei filosofi il principio era in perenne trasformazione qualitativa, diventando in tal modo tutte le cose, le radice pensate dal filosofo agrigentino restano qualitativamente inalterate. Proprio questa è la grande novità di Empedocle, l’aver affermato l'inalterabilità qualitativa e l'intrasformabilità dei principi.
Nasce così la nozione di elemento, cioè di qualcosa di originario e di qualitativamente immutabile, capace solo di unirsi e separarsi spazialmente e meccanicamente rispetto ad altro. Per giungere a tale nozione la filosofia greca aveva avuto bisogno dell'esperienza eleatica, la quale aveva creato la necessità di superare le difficoltà incontrate da essa.
È grazie ad Empedocle che nasce la cosiddetta concezione pluralistica, una visione che supera il monismo degli Ionici e il monismo degli Eleati grazie alle nuove caratteristiche degli archái, principi eternamente esistenti, mossi, come già detto, da due forze tra loro in lotta.
Ovviamente, per Empedocle, le due forze cosmiche Amore o Amicizia (dette anche Afrodite o Pihlìa) e Odio o Discordia (Neikos, che in greco significa combattimento, conflitto) sono divine.
Tali forze, secondo alterna vicenda, predominano l'una sull'altra per periodi di tempo costanti determinati dal destino e tendono a congiungere o a separare i quattro elementi, l’Amore come attrazione del dissimile, l’Odio come separazione del simile. Quando predomina l'Amore gli elementi si raccolgono in unità generando un puro e perfetto sfero (la scelta di tale figura sarebbe, secondo alcuni studiosi, un chiaro riferimento all’essere eleatico), dove regna la condizione della perfetta e indifferenziata armonia e amicizia. Ma anche in tale perfezione è sempre presente l’Odio, che inizia la sua opera sciogliendo via via la totale composizione dello sfero, sino a giungere al dominio assoluto del caos, del disordine. Ma anche in tale totale desolazione l’Amore è presente, e interviene iniziando a ricongiungere ciò che l’Odio ha separato. Se ne deduce che il cosmo non nasce quando prevale l'Amore, perché il totale prevalere di questa forza fa sì che gli elementi si raccolgano insieme a formare una compatta unità, né quando prevale l'Odio, perché in tal caso gli elementi sono del tutto separati. È proprio nel corso della loro ciclica contesa, e nelle conseguenti fasi intermedie, che le due forze danno vita al cosmo, cioè alla condizione in cui compaiono la vita e le cose in tutte le loro varietà. Dunque il mondo è formato dalle parziali congiunzioni e disgiunzioni operate dalle due forze divine e Il momento della perfezione si ha non nella costituzione del cosmo, ma nella costituzione dello Sfero.
Con tali argomentazioni Empedocle ritiene di aver spiegato le cause che stanno dietro all’origine del tutto, infatti i quattro elementi e le due forze che li muovono spiegano anche la conoscenza, la quale è possibile grazie al principio: “il simile si conosce con il suo simile”. Nei suoi versi il filosofo afferma: “Noi conosciamo la terra con la terra, l’acqua con l’acqua, l’aria con l’aria, il fuoco distruttore con il fuoco, l’amore con l’amore e l’odio con l’odio” (fr. 109).
4. La teoria degli effluvi. Empedocle dedicò allo studio dei fenomeni naturali (dalla botanica alla zoologia e alla fisiologia) molto tempo, giungendo a formulare osservazioni molto interessanti sulla costituzione degli organismi, sui loro processi vitali, espresse inoltre originali concezioni sulla evoluzione degli organismi viventi,sulla circolazione del sangue, in cui transiterebbero i pensieri che troverebbero nel cuore la loro sede. Tale tesi godette molto credito nell’antichità ed ispirò le successive scuole di medicina.
Per gli uomini, e similmente per gli animali, la conoscenza avviene attraverso i sensi, infatti le cose tutte emanano degli efflussi o effluvi che passando attraverso i pori colpiscono gli organi dei sensi e determinano il contatto e il riconoscimento, tale riconoscimento avviene tramite quella legge fisica che vuole che le parti simili dei nostri organi riconoscono le parti simili degli effluvi provenienti dalle cose. Nella percezione visiva il processo è invece inverso, e gli effluvi partono dagli occhi; ma resta sempre valido il principio che il simile conosce il simile.
5. Il Poema lustrale. Proprio nella dottrina dell’evoluzione e della trasformazione di tutti gli esseri è possibile trovare il punto di congiunzione tra i due poemi di Empedocle. Nel Poema lustrale l’agrigentino si appropria delle concezioni orfiche, presentandosi come profeta e messaggero delle medesime. Empedocle riprende la teoria della metempsicosi, afferma che l'anima dell'uomo è un demone che è stato bandito dall'Olimpo a causa di una sua colpa originaria, e gettato, per legge necessaria di giustizia, in balia del ciclo delle reincarnazioni Gli esseri viventi scontano i loro delitti e le loro colpe proprio con questo perenne nascere e morire, tale teoria appare chiara nei versi, contenuti nei frammenti 117 e 119, riferiti a se stesso: “Sono stato un tempo fanciullo e fanciulla, arbusto e uccello e muto pesce del mare”, e “Da quali onori, da quali altezze di felicità sono caduto per errare qui sulla terra tra i mortali”.
Solo gli uomini che sapranno purificarsi potranno liberarsi da tale perenne condanna, per poterlo fare essi dovranno seguire gli insegnamenti che il poema indica, chi riuscirà in tale impresa tornerà a dimorare tra gli dei, divino tra i divini, avendo (fr. 147) “tra gli immortali comune dimora e mensa, libero da umani dolori, indenne ed inviolato”.
Fisica, mistica e teologia nel pensiero di Empedocle sono diverse facce di una stessa realtà. Divine sono le quattro "radici",divine sono le forze di Amore e Odio; Dio è lo Sfero; demoni sono le anime, che, come tutto il resto, sono costituite dagli elementi e dalle forze cosmiche.
Forti di queste considerazioni finali possiamo affermare che fra i due poemi empedoclei, contrariamente a quanto molti hanno pensato e scritto, c'è unità d'ispirazione e non contrapposizione fra dimensione "fisica" e dimensione "mistica". Appare dunque sciolta l’apparente inconciliabilità.

Nei versi qui sotto riportati appare in maniera molto chiara il pensiero di Empedocle.

Da Sulla natura, di Empedocle, frr. 131, 7, 19, 16

Protasi
Se mai per qualcuno degli effimeri tu, musa immortale,
hai voluto visitare le umane prove del pensiero,
allorché ti pregarono, sii anche ora presente, o Calliope,
mentre espongo il mio giusto ragionamento sopra gli dei felici
e in mezzo porterò questo tema delle radici non generate,
il fuoco e l’acqua e la terra e l’aria
che mai non hanno inizio ne hanno termine
e l’odio rovinoso da parte e la concordia conciliatrice.
Di qui tutte le cose che furono e saranno, e le cose che sono,
gli uomini e le bestie e i pesci e le piante
perché, quanto esisteva prima, anche esiste sempre, né mai per causa di uno solo
di entrambi, il tempo infinito resterà deserto…

Frr. 6, 109, 107, 108, 89, 105
Esordio
Ascolta prima i quattro nomi che sono le radici del tutto:
lo splendente Zeus ed Era l’altrice, ed Edomeo e Nesti,
che inonda di lacrime la vasca umana.
Con la terra infatti noi conosciamo la terra, e l’acqua con l’acqua,
e l’aria con l’aria, e con il fuoco tremendo il fuoco,
e l’amore vediamo con l’amore e l’odio funesto con l’odio;
perché con i mezzi, che compongono armonicamente tutte le cose del mondo,
con quelli pensano gli uomini, e si rallegrano e si angustiano,
e poi quando diversi cambiamenti hanno subito, tante diverse immagini,
ogni volta, anche il pensiero suggerisce loro in sogno.
A tutti i corpi generati, infatti, appartengono effluvi,
che nei gorghi del sangue sono incamminati, e quando il sangue li vede di contro
è questo il modo che dagli uomini è chiamato pensiero.
Dunque il sangue che circola nel cuore, questo è per gli uomini il pensiero.

Frr. 8, 9, 10, 11, 15
E un'altra cosa ti dirò, che non esiste generazione per nessuno
di tutti i mortali, né un termine di morte che li distrugge;
esiste solo mescolanza di elementi e separazione di elementi
mischiati, ma questo gli uomini lo chiamano generazione.
Quando furono mischiati gli elementi in forma d’uomo al lume etereo,
o nella specie delle fiere campestri o degli alberi
o degli uccelli, questo gli uomini credono che sia il generarsi,
e quando gli elementi si dissolvono, allora questo era per loro il [fato crudele].
Così danno i nomi come è stato stabilito, e a questa norma io pure acconsento
Ma gli uomini temono la morte come vendicatrice
Questi ingenui!, non dimostrano certo un ingegno acuto con i loro affanni,
se si aspettano che si crei ciò che prima non esiste,
o che qualcosa possa perire del tutto e distruggersi totalmente. (…)
Un uomo saggio non può concepire nella sua mente un pensiero simile,
che fino a quando gli uomini vivono quella che chiamano appunto la loro esistenza,
fino a quel momento credono di esistere, quando miserie e conforti stanno accanto a loro;
ma invece di non esistere affatto, prima d'essere costruiti e dopo di venire dissolti.

Frr. 21, 23
[...] Durante l'odio tutto è distorto e contrastante,
ma poi durante l'amore si sono accostati, e gli uni con gli altri si bramano
gli elementi da cui risultano tutte le cose che furono e che sono, e che saranno in avvenire;
e gli alberi sono germinati, e gli uomini e le donne,
e le fiere e gli uccelli, ed i pesci che vivono nell'acqua,
ed anche i numi longevi di rango eccelso.
Sono soltanto quelli, infatti, gli elementi che esistono, e correndo gli uni attraverso gli altri
diventano corpi di ogni genere; questo appunto, che esiste, la mescolanza tramuta,
come quando i pittori illustrano le variopinte pareti,
essendo esperti nel mestiere per la loro intelligenza:
quando con le mani hanno afferrato le svariate tinture,
che mischiano in armonia, quali in maggior misura e quali in minore,
con questi colori essi foggiano figure somiglianti a tutto,
e costruiscono gli alberi e gli uomini e le donne,
e le fiere e gli uccelli, ed i pesci che vivono nell'acqua,
ed anche i numi longevi di rango eccelso.
Pertanto, non prevalga nell'animo tuo l'inganno, che da altra origine
sia la fonte dei corpi mortali, che ora sono manifesti e si producono all'infinito.
Governano a turno mentre il ciclo si svolge,
e gli uni negli altri finiscono e crescono secondo il turno che spetta.
Perché soltanto questi esistono, e trascorrendo gli uni negli altri
diventano gli uomini e le stirpi di varie fiere,
a volte per la concordia concorrendo in un unico cosmo,
e a volte poi ciascuno per suo conto trascinato dalla disfida dell'astio,
fino a che, conglobandosi il cosmo, il tutto unico di là ne emerga.
In tale modo, in quanto l'uno ha imparato a generarsi da più,
e poi risultano di nuovo più quando l'uno si disfa,
perciò sono in divenire e non è stabile la loro eterna vita;
e in quanto questi non finiscono mai mutandosi di continuo,
perciò in eterno sono questi esseri inamovibili, dentro il ciclo.

Frr. 17, 13, 14
[...] Così non finiscono mai questi elementi che si permutano di continuo,
a volte concorrendo tutti quanti nell'uno per la concordia,
a volte poi dalla disfida dell'odio ciascuno per vie distinte trasportato.
E in quanto risultano di nuovo più, quando l'uno si disfa,
perciò sono in divenire, e non è stabile la loro eterna vita;
e in quanto non finiscono giammai tramutandosi di continuo,
perciò in eterno sono questi esseri inamovibili dentro il ciclo.
Ora ascolta queste parole, perché la dottrina t'incrementa l'animo.
Come ho già prima annunciato definendo i confini del mio discorso,
il duplice argomento dirò, perché una volta si accresce l'uno da più elementi
sì da esistere solo, l'altra volta poi si disfa, sì che più esistono dall'uno:
il fuoco, e l'acqua, e la terra, e dell'aria il dolce culmine,
e l'odio rovinoso, da parte, commisurato all'intera massa di quelli,
e la concordia, equivalente ad essi per tutta l'altezza e la larghezza.
Ma la concordia, tu mirala con la mente; non rimanere stupefatto con gli occhi.
Anche in mortali membra si ritiene ch'essa si generi,
ed è così che la gente nutre pensieri affettuosi, e compie azioni amorose,
chiamandola con i nomi di Gioia e di Afrodite; ma nessuno degli uomini mortali
ha imparato che turbina con tanta massa degli elementi.
Senti bene, perciò, il seguito non ingannevole del mio discorso.
Questi fattori si equivalgono tutti, ed hanno eguale età,
ma ognuno possiede il proprio rango, ognuno ha l'indole propria,
ed a vicenda comandano durante il tempo trascorrente.
Oltre a questi, poi, non si aggiunge nulla, e nulla neppure finisce.
Se infatti perissero nella successione del tempo, già più non ci sarebbero.
Oppure questo che è il tutto sarebbe aumentato: ma con che cosa, che pure arrivi da qualche parte?
Nel tutto non c'è un posto che sia vuoto: da dove, dunque, qualcosa può sopraggiungere?
Né poi c'è nulla di vuoto, quando sussiste l'uno, né nulla di soverchio.
E allora, come può qualcosa anche venire a mancare, quando al di là di tutto questo non c'è nulla abbandonato?
Inoltre esistono solo questi elementi, e gli uni trascorrendo attraverso gli altri
si presentano via via in corpi diversi, ma sempre uguali a sé permangono perpetuamente.

Dal Poema lustrale di Empedocle , fr. 114

O amici, so bene che verità alberga negli argomenti
Che ora voglio esporre, ma molto travagliato e sospettoso
è il passaggio della convinzione dentro l’animo umano. (…)

Fr.119 Diels Kranz
Vaticinio è del Fato, decreto antico dei Numi,
sempiterno, con ampi giuramenti suggellato,
che se alcuno le membra insozzi di sangue colpevole,
o spergiuri empio, seguendo la Contesa,
(alcuno dei demoni che ebbero in sorte vita longeva)
errando vada dai beati per tre volte dieci mila stagioni,
e rinascendo nel tempo in ogni forma di esseri mortali,
muti le dogliose vie della vita.
Perché la possa dell'etere li tuffa nel mare,
il mare sulla terra li sputa, la terra nelle vampe
del sole fulgente, che li lancia nei vortici dell'etere:
l'uno dall'altro li accoglie e tutti li odiano.
Uno d'essi sono ora anch'io, fuggiasco dagli dèi ed errante,
perché fede prestai alla furente Contesa...
Perché fui un tempo fanciullo e fanciulla,
arbusto ed uccello e muto pesce del mare.
Da quale onore e da quanta ampiezza di felicità,
qui fra i mortali m'aggiro, bandito dall'Olimpo!

I fisici pluralisti



I fisici pluralisti

L’Eleatismo lasciò un profondo segno nella cultura dell’epoca, Parmenide e i suoi allievi avevano dimostrato l’instabilità delle percezioni sensibili, per altro i nuovo filosofi non potevano non tenere conto delle teorie di Eraclito. Empedocle e Anassagora in effetti tornarono ad occuparsi del problema della natura (physis) e tentarono anche una sintesi tra l’Eleatismo e l’Eraclitismo, fu il primo grande tentativo, il secondo verrà poi attuato da Platone.
Da Eraclito e dalla scuola ionica essi presero l’idea dell’eterno divenire delle cose, dagli Eleati accettarono la teoria dell’eternità e dell’immutabilità dell’Essere. Il problema era come fare per conciliare le opposte affermazioni del divenire delle cose e dell’eternità ed immutabilità del tutto? Essi risolvono il problema immaginando che il tutto sia formato da composti (mutevoli) ed elementi (immutabili). Tali filosofi sono detti fisici pluralisti perché ritengono che i principi della natura siano molteplici (per Empedocle le radici, per Anassagora i semi).
Escludiamo da questo gruppo Leucippo e Democrito, perché la teoria degli atomisti presenta caratteristiche di particolare originalità, tali da porla in un ambito tutto suo.