giovedì 4 dicembre 2008

Empedocle

Empedocle
Agrigento nato intorno al 484/481 a.C. e morto intorno al 424/421 a.C
1. Vita e opere. Empedocle nacque ad Agrigento, fu filosofo, mistico, medico e godette fama di taumaturgo. Della sua vita conosciamo poco, fu a capo della fazione democratica di Agrigento, per un certo periodo fu esiliato nel Peloponneso. Uomo dalla grande personalità seppe conquistarsi una notevole fama, si narra che gruppi di discepoli lo accompagnassero ovunque. Intorno alla sua figura fiorirono numerose leggende, sembra che molti lo considerassero una divinità e che lui stesso contribuisse ad accreditare tale fama. Leggendaria è anche la sua fine che diede addito a numerose storie, fra esse famosa sono quella che lo vorrebbe morto durante un'eruzione dell'Etna (ma i suoi detrattori affermavano che lui stesso si fosse gettato in una bocca del vulcano per far sparire il suo corpo, tradito però dal fatto che nei pressi del luogo della sua scomparsa sarebbe stato ritrovato un calzare) e quella che lo vorrebbe trasportato in cielo tra gli dei su di un carro alato.
2. Pensiero ed opere. Espose le sue dottrine in versi come già aveva fatto Parmenide, una scelta che nell’antichità fu seguita poi solo da Lucrezio (con il noto poema De rerum natura, dove per altro compare un famoso elogio dedicato proprio al filosofo agrigentino). Delle sue opere ci sono rimasti circa 40 versi di un poema Sulla natura e 120 versi di un altro poema, Le purificazioni o Carme lustrale, quest'ultimo di contenuto religioso e misterico, con forti influenze orfiche.
Empedocle è il filosofo presofista di cui ci sono pervenuti il maggior numero di frammenti dei suoi scritti, nonostante ciò l’interpretazione del suo pensiero è considerata dagli studiosi tra le più difficili e controverse. In particolare si è cercato di chiarire il legame tra i due poemi i cui contenuti (naturalistico il primo, religioso il secondo) appaiono a molti difficilmente conciliabili. Alcuni studiosi (come E. Zeller e E. Bignone) hanno basato le loro analisi su talune interpretazioni cristiane, ponendo nelle antiche filosofie greche le eresie gnostiche, partendo da tale punto di vista essi hanno ipotizzato che la cosmologia empedoclea dovesse essere vista come una sorta di escatologia segreta, anticipatrice della fase mistico-religiosa, cioè orfica.
Più credibile appaiono interpretazioni basate sulle testimonianze più antiche (e tradizionali), risalenti principalmente a Simplicio, che mettono in mostra la connessione delle teorie di Empedocle con i problemi della scuola eleatica. Tali ipotesi di studio sono state proposte in particolare da; J. Bollack, G. Calogero, G. Reale, C. Ramnoux.
D’altronde sono numerosi i richiami alla teoria parmenidea negli scritti di Empedocle, giustamente famosi sono i frammenti 8 e 11 (Diels-Kranz): “Un’altra cosa ti dirò: non c’è alcuna nascita, né alcuna fine dovuta a morte funesta, ma solo mescolanze e cambiamenti di cose frammiste, che gli uomini chiamano nascita” e “Stolti! Siccome non hanno pensieri di ampia veduta, essi credono che possa nascere ciò che prima non era o che qualcosa possa perire e andare completamente distrutta”.
Proprio da tali scritti sappiamo che il filosofo di Agrigento riconosce la necessità e l’eternità dell’essere, ma egli cerca anche, con grande originalità, di conciliare tale posizione con il divenire, quel perenne mutamento che l’esperienza ci dimostra.
3. Le quattro radici e le due forze. Empedocle dice che alla base della vita ci sono le quattro radici (rhizomata) eterne della realtà, ovverosia quelli che in seguito verranno chiamati quattro elementi: fuoco, acqua, aria (o etere) e terra. Esse in origine si trovano riunite in uno sfero dove nessun elemento prevale sugli altri, le due forze opposte (secondo il principio del contrasto delineato da Eraclito) di Amore e Odio operando sugli elementi li disgregano e generano la vita, il procedimento dà origine, in tal modo, ad un ciclo cosmico tendente a far prevalere l'amore, ma dove l'azione delle due forze è eterna aggregazione e disgregazione. Empedocle identifica le quattro radici con Zeus, Era, Edomeo e Nesti, essi sono i principi (archái) già presentati dagli ionici, ma mentre per quei filosofi il principio era in perenne trasformazione qualitativa, diventando in tal modo tutte le cose, le radice pensate dal filosofo agrigentino restano qualitativamente inalterate. Proprio questa è la grande novità di Empedocle, l’aver affermato l'inalterabilità qualitativa e l'intrasformabilità dei principi.
Nasce così la nozione di elemento, cioè di qualcosa di originario e di qualitativamente immutabile, capace solo di unirsi e separarsi spazialmente e meccanicamente rispetto ad altro. Per giungere a tale nozione la filosofia greca aveva avuto bisogno dell'esperienza eleatica, la quale aveva creato la necessità di superare le difficoltà incontrate da essa.
È grazie ad Empedocle che nasce la cosiddetta concezione pluralistica, una visione che supera il monismo degli Ionici e il monismo degli Eleati grazie alle nuove caratteristiche degli archái, principi eternamente esistenti, mossi, come già detto, da due forze tra loro in lotta.
Ovviamente, per Empedocle, le due forze cosmiche Amore o Amicizia (dette anche Afrodite o Pihlìa) e Odio o Discordia (Neikos, che in greco significa combattimento, conflitto) sono divine.
Tali forze, secondo alterna vicenda, predominano l'una sull'altra per periodi di tempo costanti determinati dal destino e tendono a congiungere o a separare i quattro elementi, l’Amore come attrazione del dissimile, l’Odio come separazione del simile. Quando predomina l'Amore gli elementi si raccolgono in unità generando un puro e perfetto sfero (la scelta di tale figura sarebbe, secondo alcuni studiosi, un chiaro riferimento all’essere eleatico), dove regna la condizione della perfetta e indifferenziata armonia e amicizia. Ma anche in tale perfezione è sempre presente l’Odio, che inizia la sua opera sciogliendo via via la totale composizione dello sfero, sino a giungere al dominio assoluto del caos, del disordine. Ma anche in tale totale desolazione l’Amore è presente, e interviene iniziando a ricongiungere ciò che l’Odio ha separato. Se ne deduce che il cosmo non nasce quando prevale l'Amore, perché il totale prevalere di questa forza fa sì che gli elementi si raccolgano insieme a formare una compatta unità, né quando prevale l'Odio, perché in tal caso gli elementi sono del tutto separati. È proprio nel corso della loro ciclica contesa, e nelle conseguenti fasi intermedie, che le due forze danno vita al cosmo, cioè alla condizione in cui compaiono la vita e le cose in tutte le loro varietà. Dunque il mondo è formato dalle parziali congiunzioni e disgiunzioni operate dalle due forze divine e Il momento della perfezione si ha non nella costituzione del cosmo, ma nella costituzione dello Sfero.
Con tali argomentazioni Empedocle ritiene di aver spiegato le cause che stanno dietro all’origine del tutto, infatti i quattro elementi e le due forze che li muovono spiegano anche la conoscenza, la quale è possibile grazie al principio: “il simile si conosce con il suo simile”. Nei suoi versi il filosofo afferma: “Noi conosciamo la terra con la terra, l’acqua con l’acqua, l’aria con l’aria, il fuoco distruttore con il fuoco, l’amore con l’amore e l’odio con l’odio” (fr. 109).
4. La teoria degli effluvi. Empedocle dedicò allo studio dei fenomeni naturali (dalla botanica alla zoologia e alla fisiologia) molto tempo, giungendo a formulare osservazioni molto interessanti sulla costituzione degli organismi, sui loro processi vitali, espresse inoltre originali concezioni sulla evoluzione degli organismi viventi,sulla circolazione del sangue, in cui transiterebbero i pensieri che troverebbero nel cuore la loro sede. Tale tesi godette molto credito nell’antichità ed ispirò le successive scuole di medicina.
Per gli uomini, e similmente per gli animali, la conoscenza avviene attraverso i sensi, infatti le cose tutte emanano degli efflussi o effluvi che passando attraverso i pori colpiscono gli organi dei sensi e determinano il contatto e il riconoscimento, tale riconoscimento avviene tramite quella legge fisica che vuole che le parti simili dei nostri organi riconoscono le parti simili degli effluvi provenienti dalle cose. Nella percezione visiva il processo è invece inverso, e gli effluvi partono dagli occhi; ma resta sempre valido il principio che il simile conosce il simile.
5. Il Poema lustrale. Proprio nella dottrina dell’evoluzione e della trasformazione di tutti gli esseri è possibile trovare il punto di congiunzione tra i due poemi di Empedocle. Nel Poema lustrale l’agrigentino si appropria delle concezioni orfiche, presentandosi come profeta e messaggero delle medesime. Empedocle riprende la teoria della metempsicosi, afferma che l'anima dell'uomo è un demone che è stato bandito dall'Olimpo a causa di una sua colpa originaria, e gettato, per legge necessaria di giustizia, in balia del ciclo delle reincarnazioni Gli esseri viventi scontano i loro delitti e le loro colpe proprio con questo perenne nascere e morire, tale teoria appare chiara nei versi, contenuti nei frammenti 117 e 119, riferiti a se stesso: “Sono stato un tempo fanciullo e fanciulla, arbusto e uccello e muto pesce del mare”, e “Da quali onori, da quali altezze di felicità sono caduto per errare qui sulla terra tra i mortali”.
Solo gli uomini che sapranno purificarsi potranno liberarsi da tale perenne condanna, per poterlo fare essi dovranno seguire gli insegnamenti che il poema indica, chi riuscirà in tale impresa tornerà a dimorare tra gli dei, divino tra i divini, avendo (fr. 147) “tra gli immortali comune dimora e mensa, libero da umani dolori, indenne ed inviolato”.
Fisica, mistica e teologia nel pensiero di Empedocle sono diverse facce di una stessa realtà. Divine sono le quattro "radici",divine sono le forze di Amore e Odio; Dio è lo Sfero; demoni sono le anime, che, come tutto il resto, sono costituite dagli elementi e dalle forze cosmiche.
Forti di queste considerazioni finali possiamo affermare che fra i due poemi empedoclei, contrariamente a quanto molti hanno pensato e scritto, c'è unità d'ispirazione e non contrapposizione fra dimensione "fisica" e dimensione "mistica". Appare dunque sciolta l’apparente inconciliabilità.

Nei versi qui sotto riportati appare in maniera molto chiara il pensiero di Empedocle.

Da Sulla natura, di Empedocle, frr. 131, 7, 19, 16

Protasi
Se mai per qualcuno degli effimeri tu, musa immortale,
hai voluto visitare le umane prove del pensiero,
allorché ti pregarono, sii anche ora presente, o Calliope,
mentre espongo il mio giusto ragionamento sopra gli dei felici
e in mezzo porterò questo tema delle radici non generate,
il fuoco e l’acqua e la terra e l’aria
che mai non hanno inizio ne hanno termine
e l’odio rovinoso da parte e la concordia conciliatrice.
Di qui tutte le cose che furono e saranno, e le cose che sono,
gli uomini e le bestie e i pesci e le piante
perché, quanto esisteva prima, anche esiste sempre, né mai per causa di uno solo
di entrambi, il tempo infinito resterà deserto…

Frr. 6, 109, 107, 108, 89, 105
Esordio
Ascolta prima i quattro nomi che sono le radici del tutto:
lo splendente Zeus ed Era l’altrice, ed Edomeo e Nesti,
che inonda di lacrime la vasca umana.
Con la terra infatti noi conosciamo la terra, e l’acqua con l’acqua,
e l’aria con l’aria, e con il fuoco tremendo il fuoco,
e l’amore vediamo con l’amore e l’odio funesto con l’odio;
perché con i mezzi, che compongono armonicamente tutte le cose del mondo,
con quelli pensano gli uomini, e si rallegrano e si angustiano,
e poi quando diversi cambiamenti hanno subito, tante diverse immagini,
ogni volta, anche il pensiero suggerisce loro in sogno.
A tutti i corpi generati, infatti, appartengono effluvi,
che nei gorghi del sangue sono incamminati, e quando il sangue li vede di contro
è questo il modo che dagli uomini è chiamato pensiero.
Dunque il sangue che circola nel cuore, questo è per gli uomini il pensiero.

Frr. 8, 9, 10, 11, 15
E un'altra cosa ti dirò, che non esiste generazione per nessuno
di tutti i mortali, né un termine di morte che li distrugge;
esiste solo mescolanza di elementi e separazione di elementi
mischiati, ma questo gli uomini lo chiamano generazione.
Quando furono mischiati gli elementi in forma d’uomo al lume etereo,
o nella specie delle fiere campestri o degli alberi
o degli uccelli, questo gli uomini credono che sia il generarsi,
e quando gli elementi si dissolvono, allora questo era per loro il [fato crudele].
Così danno i nomi come è stato stabilito, e a questa norma io pure acconsento
Ma gli uomini temono la morte come vendicatrice
Questi ingenui!, non dimostrano certo un ingegno acuto con i loro affanni,
se si aspettano che si crei ciò che prima non esiste,
o che qualcosa possa perire del tutto e distruggersi totalmente. (…)
Un uomo saggio non può concepire nella sua mente un pensiero simile,
che fino a quando gli uomini vivono quella che chiamano appunto la loro esistenza,
fino a quel momento credono di esistere, quando miserie e conforti stanno accanto a loro;
ma invece di non esistere affatto, prima d'essere costruiti e dopo di venire dissolti.

Frr. 21, 23
[...] Durante l'odio tutto è distorto e contrastante,
ma poi durante l'amore si sono accostati, e gli uni con gli altri si bramano
gli elementi da cui risultano tutte le cose che furono e che sono, e che saranno in avvenire;
e gli alberi sono germinati, e gli uomini e le donne,
e le fiere e gli uccelli, ed i pesci che vivono nell'acqua,
ed anche i numi longevi di rango eccelso.
Sono soltanto quelli, infatti, gli elementi che esistono, e correndo gli uni attraverso gli altri
diventano corpi di ogni genere; questo appunto, che esiste, la mescolanza tramuta,
come quando i pittori illustrano le variopinte pareti,
essendo esperti nel mestiere per la loro intelligenza:
quando con le mani hanno afferrato le svariate tinture,
che mischiano in armonia, quali in maggior misura e quali in minore,
con questi colori essi foggiano figure somiglianti a tutto,
e costruiscono gli alberi e gli uomini e le donne,
e le fiere e gli uccelli, ed i pesci che vivono nell'acqua,
ed anche i numi longevi di rango eccelso.
Pertanto, non prevalga nell'animo tuo l'inganno, che da altra origine
sia la fonte dei corpi mortali, che ora sono manifesti e si producono all'infinito.
Governano a turno mentre il ciclo si svolge,
e gli uni negli altri finiscono e crescono secondo il turno che spetta.
Perché soltanto questi esistono, e trascorrendo gli uni negli altri
diventano gli uomini e le stirpi di varie fiere,
a volte per la concordia concorrendo in un unico cosmo,
e a volte poi ciascuno per suo conto trascinato dalla disfida dell'astio,
fino a che, conglobandosi il cosmo, il tutto unico di là ne emerga.
In tale modo, in quanto l'uno ha imparato a generarsi da più,
e poi risultano di nuovo più quando l'uno si disfa,
perciò sono in divenire e non è stabile la loro eterna vita;
e in quanto questi non finiscono mai mutandosi di continuo,
perciò in eterno sono questi esseri inamovibili, dentro il ciclo.

Frr. 17, 13, 14
[...] Così non finiscono mai questi elementi che si permutano di continuo,
a volte concorrendo tutti quanti nell'uno per la concordia,
a volte poi dalla disfida dell'odio ciascuno per vie distinte trasportato.
E in quanto risultano di nuovo più, quando l'uno si disfa,
perciò sono in divenire, e non è stabile la loro eterna vita;
e in quanto non finiscono giammai tramutandosi di continuo,
perciò in eterno sono questi esseri inamovibili dentro il ciclo.
Ora ascolta queste parole, perché la dottrina t'incrementa l'animo.
Come ho già prima annunciato definendo i confini del mio discorso,
il duplice argomento dirò, perché una volta si accresce l'uno da più elementi
sì da esistere solo, l'altra volta poi si disfa, sì che più esistono dall'uno:
il fuoco, e l'acqua, e la terra, e dell'aria il dolce culmine,
e l'odio rovinoso, da parte, commisurato all'intera massa di quelli,
e la concordia, equivalente ad essi per tutta l'altezza e la larghezza.
Ma la concordia, tu mirala con la mente; non rimanere stupefatto con gli occhi.
Anche in mortali membra si ritiene ch'essa si generi,
ed è così che la gente nutre pensieri affettuosi, e compie azioni amorose,
chiamandola con i nomi di Gioia e di Afrodite; ma nessuno degli uomini mortali
ha imparato che turbina con tanta massa degli elementi.
Senti bene, perciò, il seguito non ingannevole del mio discorso.
Questi fattori si equivalgono tutti, ed hanno eguale età,
ma ognuno possiede il proprio rango, ognuno ha l'indole propria,
ed a vicenda comandano durante il tempo trascorrente.
Oltre a questi, poi, non si aggiunge nulla, e nulla neppure finisce.
Se infatti perissero nella successione del tempo, già più non ci sarebbero.
Oppure questo che è il tutto sarebbe aumentato: ma con che cosa, che pure arrivi da qualche parte?
Nel tutto non c'è un posto che sia vuoto: da dove, dunque, qualcosa può sopraggiungere?
Né poi c'è nulla di vuoto, quando sussiste l'uno, né nulla di soverchio.
E allora, come può qualcosa anche venire a mancare, quando al di là di tutto questo non c'è nulla abbandonato?
Inoltre esistono solo questi elementi, e gli uni trascorrendo attraverso gli altri
si presentano via via in corpi diversi, ma sempre uguali a sé permangono perpetuamente.

Dal Poema lustrale di Empedocle , fr. 114

O amici, so bene che verità alberga negli argomenti
Che ora voglio esporre, ma molto travagliato e sospettoso
è il passaggio della convinzione dentro l’animo umano. (…)

Fr.119 Diels Kranz
Vaticinio è del Fato, decreto antico dei Numi,
sempiterno, con ampi giuramenti suggellato,
che se alcuno le membra insozzi di sangue colpevole,
o spergiuri empio, seguendo la Contesa,
(alcuno dei demoni che ebbero in sorte vita longeva)
errando vada dai beati per tre volte dieci mila stagioni,
e rinascendo nel tempo in ogni forma di esseri mortali,
muti le dogliose vie della vita.
Perché la possa dell'etere li tuffa nel mare,
il mare sulla terra li sputa, la terra nelle vampe
del sole fulgente, che li lancia nei vortici dell'etere:
l'uno dall'altro li accoglie e tutti li odiano.
Uno d'essi sono ora anch'io, fuggiasco dagli dèi ed errante,
perché fede prestai alla furente Contesa...
Perché fui un tempo fanciullo e fanciulla,
arbusto ed uccello e muto pesce del mare.
Da quale onore e da quanta ampiezza di felicità,
qui fra i mortali m'aggiro, bandito dall'Olimpo!