lunedì 24 novembre 2008

Pitagora di Samo e la Scuola pitagorica

Pitagorismo
Con il termine pitagorismo si è soliti indicare la filosofia dei pitagorici, più esattamente la storia, lo sviluppo e le teorie del movimento legato alla scuola pitagorica. Si sviluppò nel V secolo a.C. per opera degli immediati seguaci di Pitagora. Alla scuola erano ammesse anche le donne, la vita di comunità si basava su regole precise: imponeva agli adepti l'osservanza del celibato, la comunicazione dei beni, l’alimentazione vegetariana, una serie di riti e pratiche per la purificazione del corpo e dell'anima. Tra le pratiche più importanti c'era la musica, per lo studio della quale i pitagorici approfondirono la conoscenza dei numeri, considerati essenziali per la conoscenza della legge che governa l'altezza dei suoni. Da tali studi nacque anche l'interesse per l'aritmetica, dai pitagorici intesa come la teoria dei numeri interi. Il numero veniva concepito come un insieme di unità e veniva raffigurato spazialmente con immagini ben precise (l'uno come punto, il due come linea, il tre come superficie, il quattro come solido). I pitagorici dunque studiarono un qualcosa che si può chiamare "aritmogeometria", per loro i numeri erano l'arché (il principio primo) della realtà. Secondo Filolao tutto ciò che esiste è numero, senza numeri non sarebbe possibile pensare e conoscere nulla. Per i pitagorici inoltre gli elementi dei numeri sono gli elementi di tutte le cose, perché tutto l'Universo è armonia e numero. Tali elementi si dividono fra pari e dispari, ai quali corrispondono determinato e indeterminato. Da queste opposizioni ne derivano altre: maschio-femmina, luce-tenebra, buono-cattivo, retto-curvo, eccetera. Da tali opposizioni si può evidenziare che nella teoria dei numeri esistono delle implicazioni morali, magico-religiose e cosmologiche. Per i pitagorici un valore fondamentale rivestiva il 10 (considerato magico, la divina tetraktys), su tale numero essi pronunciavano i loro giuramenti. Era considerato fondamentale perché era il risultante della somma dei primi quattro numeri ed era rappresentato come un triangolo equilatero che ha quattro unità (punti discreti o pietruzze) per lato. L'uno, cioè l'unità, ha a sua volta un valore particolare in quanto "parimpari" e cioè partecipante alla natura del pari e del dispari. L'uno infatti se aggiunto a qualunque altro numero lo trasforma da dispari in pari e viceversa. I pitagorici svilupparono anche una loro teoria astronomica, che la tradizione attribuisce a Filolao e ad Iceta. Al centro dell'Universo pitagorico vi è un fuoco (il principio regolativo o forza che dirige i moti celesti), intorno ad esso ruotano i pianeti. In ordine essi sono: l'Anti-Terra, la Terra (che dunque viene tolta dal centro immobile del cosmo e diventa pianeta), la Luna, il Sole, i cinque pianeti e le stelle fisse. L'Anti-Terra veniva considerata invisibile agli uomini e fu introdotta probabilmente per portare a dieci il numero dei corpi ruotanti intorno al fuoco, secondo la regola dell'armonia universale raffigurata nella tetraktys. I pitagorici furono i primi a vedere l'Universo come un sistema razionalmente ordinato. Questa loro visione si legava comunque anche ad esigenze mistico-religiose, ad esempio secondo loro i moti dei corpi celesti, essendo regolati da dei precisi rapporti numerici, producono la cosiddetta "armonia delle sfere" (una musica che i pitagorici definivano sublime), che però l'orecchio umano non è in gradi di percepire. Alcmeone studiò, basandosi sugli stessi principi, l'anima, egli la definì immortale perché essa è somigliante alla Luna, al Sole e agli astri ed è costituita dall'armonia degli elementi contrari. Proprio per la sua immortalità l'anima è destinata, attraverso una serie successiva di reincarnazioni (detta anche trasmigrazione o metempsicosi), a ricongiungersi con l'anima divina o universale. Questo era il tema che costituiva la verità misterica che i pitagorici tenevano accuratamente nascosta. Nata dall'orfismo era trasmessa solo agli adepti attraverso la contemplazione del numero e della sua armonia. Tale conoscenza era possibile solo tramite la vita contemplativa (bios theoretikos) e i continui esercizi di purificazione. La scuola pitagorica entrò in crisi quando vennero scoperte le grandezze incommensurabili (come ad esempio il rapporto tra la diagonale e il lato del quadrato). La leggenda racconta che tale segreto venne tenuto accuratamente nascosto, fino a quando Ippaso di Metaponto lo cedette (sembra per soldi). La crisi divenne irreversibile, le divisioni interne finirono per provocare la fine della scuola. Va detto che l'aritmogeometria si dimostrò incapace di affrontare i paradossi dell'infinito e del continuo (esposti da Zenone di Elea) e per questo motivo matematica e geometria divennero indipendenti e presero direzioni diverse. La fine della scuola pitagorica fu comunque anche causata da motivi politici, i pitagorici erano i rappresentanti dell'aristocrazia e detenevano il potere in numerose città della Magna Grecia, vennero travolti dalla grande rivoluzione democratica del 450 a.C. Molti pitagorici riuscirono a fuggire, alcuni si stabilirono a Taranto (dove riuscirono a mantenere il potere politico fino alla metà del IV secolo), altri andarono in Sicilia (a Siracusa, infine altri ancora si rifugiarono in Grecia dove alcuni fondarono un nuovo centro Fleio e altri operarono a Tebe. A Locri si rifugiò Timeo, la cui esistenza però non è certa.

Pitagora di Samo
Samo 571 circa - Mertano 497 a.C. circa
Pitagora nacque a Samo, dei suoi primi anni e dei suoi studi non conosciamo nulla di preciso. Nel 532 giunse a Crotone dove fondò una scuola dandole il carattere di una comunità etico-filosofica guidata da rigide regole. Alla base degli insegnamenti della scuola di Pitagora vi erano i numeri e le matematiche e il perseguimento della perfezione morale e religiosa. Pitagora era capo assoluto della scuola, per riportare una sua affermazione, che non poteva essere discussa, gli allievi dicevano “autos epa” (il famoso "ipse dixit" latino, che significa l'ha detto lui). Pitagora partecipò alla vita politica di Crotone, il suo ideale politico era una forma di aristocrazia basata sui nuovi ceti dediti soprattutto al commercio, che, come abbiamo già visto, avevano raggiunto un notevole livello nelle colonie prima ancora che nella madrepatria. Si narra che i Crotoniati, temendo che Pitagora volesse diventare tiranno della città, abbiano incendiato l'edificio in cui egli era radunato insieme con i suoi discepoli. Secondo alcune fonti Pitagora morì nel rogo della scuola, secondo altre il filosofo fuggì prima a Locri, poi a Taranto e infine a Metaponto dove morì. Le notizie qui riportate appartengono alla tradizione ma non hanno conferme storiche, al punto che molti studiosi sono portati a pensare che Pitagora non sia mai esistito o che a lui siano state attribuite anche teorie che in realtà erano elaborate dalla scuola tutta. A Pitagora sono attribuiti molti scritti; va però precisato che quelli pervenutici sotto il suo nome sono falsificazioni di epoca posteriore e che è possibile che il suo insegnamento sia stato solo (o prevalentemente) orale.
Del pensiero originario di questo filosofo conosciamo ben poco, se non pochissimo. Le numerose Vite di Pitagora furono tutte scritte da posteri e non sono storicamente attendibili, questo è dovuto soprattutto al fatto che già poco dopo la sua morte (e probabilmente già negli ultimi anni della sua vita) per i seguaci Pitagora aveva perduto i tratti umani; gli eventi della sua vita erano mitizzati al punto che il filosofo era venerato quasi come un nume, e la sua parola aveva quasi valore di oracolo. Il mito si confuse a tal punto con la realtà che già Aristotele non aveva più a disposizione elementi che gli permettessero di distinguere Pitagora dai suoi discepoli e parlava in senso generale dei "cosiddetti Pitagorici", ovvero di quei filosofi "che erano chiamati", o "che si chiamano Pitagorici", una scuola, meglio una confraternita di filosofi che ricercavano insieme la verità e che quindi non si differenziavano singolarmente.
Per tali motivi non è possibile parlare del pensiero di Pitagora singolarmente considerato, ma solo del pensiero dei Pitagorici in senso globale.
Sappiamo che tale pensiero pone alla base il numero, che è il principio di tutte le cose, e principio divino e superiore è l'Uno da cui discende la pluralità degli esseri razionali. Fondamentale nella filosofia pitagorica sono le dieci coppie dei contrari, di cui la più importante è la coppia pari-dispari. Oltre ai simboli matematici, che spesso trascendevano in valori e significati magici i Pitagorici predicavano la metempsicosi, ovverosia la trasmigrazione dell'anima.
La ricerca filosofica, passando dalle colonie ioniche di Oriente a quelle di Occidente, dove erano migrate le antiche tribù ioniche e dove si era creata una condizione culturale diversa, si era andata affinando notevolmente, e i Pitagorici furono tra i principali artefici di questa crescita. Essi, con netto mutamento di prospettiva, indicarono nel numero (e nei costitutivi del numero) il "principio", invece che in elementi fisici come l'acqua o l'aria o il fuoco. Ad una prima lettura questa teoria può stupire. In realtà, la scoperta che in tutte le cose esiste una regolarità matematica (cioè numerica), che poteva essere calcolata con notevole precisione, provocò un'impressione così straordinaria da produrre quel mutamento di prospettiva del quale abbiamo detto, e che ha segnato una tappa fondamentale nello sviluppo spirituale dell'Occidente. Sicuramente determinante fu la scoperta che i suoni e la musica, che per i Pitagorici erano fondamentale oggetto di studio in quanto mezzi di purificazione e di catarsi, sono traducibili in determinazioni numeriche, ovvero in numeri. Essi verificarono (probabilmente rapiti da una sorta di tensione magica) che la diversità dei suoni che producono i martelletti che battono sull'incudine dipende dalla diversità di peso (che è determinabile secondo un numero); che la diversità dei suoni delle corde di uno strumento musicale dipende dalla diversa lunghezza delle corde (che è analogamente determinabile secondo un numero). Proseguendo nelle loro ricerche i Pitagorici scoprirono anche i rapporti armonici di ottava, di quinta e di quarta e le leggi numeriche che li governano (1 : 2, 2 : 3, 3 : 4). C’era già abbastanza materiale per compiere un salto culturale di grande livello, ma essi scoprirono anche l'incidenza determinante del numero nei fenomeni dell'universo; che l'anno, le stagioni, i mesi, i giorni, e così di seguito sono determinati da leggi numeriche. Infine i Pitagorici si accorsero che sono precise leggi numeriche quelle che regolano i tempi dell’incubazione del feto negli animali, i cicli dello sviluppo biologico e i vari fenomeni della vita.
Appare dunque naturale che spinti dall'euforia di queste scoperte, i Pitagorici concepissero inesistenti corrispondenze tra fenomeni di vario genere e il numero. Per tale motivi i numeri divennero dei simboli universali e tutto fu rappresentato con la sacralità dei numeri. Volendo fare alcuni esempi basti ricordare che per alcuni Pitagorici, la giustizia, che avrebbe la caratteristica di essere una sorta di contraccambio o di eguaglianza, coincideva con il numero 4 o con il 9 (ossia 2 x 2 o 3 x 3, il quadrato del primo numero pari o quello del primo dispari); l'intelligenza e la scienza, che avrebbero il carattere di persistenza e immobilità, erano fatte coincidere con l'1; mentre la mobile opinione, che per natura oscillerebbe in opposte direzioni, era fatta coincidere con il 2, e così via.
Appare dunque evidente il processo attraverso il quale i Pitagorici giunsero a porre il numero come principio di tutte le cose. È altrettanto chiaro come per noi contemporanei sia difficile comprendere a fondo il senso di questa dottrina, tale azione può avvenire solo cercando di recuperare il senso arcaico del "numero". Noi concepiamo il numero come un'astrazione mentale e quindi come un ente di ragione; per l'antico modo di pensare (fino ad Aristotele) il numero è invece una cosa reale, anzi, la più reale delle cose, per tale motivo è considerato il principio costitutivo delle cose. Dunque per gli antichi il numero non è un aspetto che noi mentalmente astraiamo dalle cose, ma è la realtà, la physis delle cose medesime.
Per i Pitagorici tutte le cose derivavano dai numeri; ma essi non li concepivano come il primum assoluto, anzi i loro studi dimostravano che a loro volta i numeri derivavano da ulteriori "elementi". I Pitagorici notarono che i numeri risultano essere una quantità (indeterminata) che via via si de-termina o de-limita: 2, 3, 4, 5, 6… all'infinito. Da tale naturale condizione si nota come due sono gli elementi che costituiscono il numero: uno indeterminato o illimitato e uno determinante o limitante. Ne consegue che il numero nasce "dall'accordo di elementi limitanti e di elementi illimitati", per poi, a sua volta, generare tutte le altre cose.
È necessario specificare che l'uno, cioè l'unità, aveva per i Pitagorici un valore particolare in quanto "parimpari" e cioè partecipante alla natura del pari e del dispari. L'uno infatti se aggiunto a qualunque altro numero lo trasforma da dispari in pari e viceversa.
I Pitagorici però non si fermarono qui, essi dedussero che i numeri, in quanto generati da un elemento indeterminato e da uno determinante, manifestano una certa prevalenza dell'uno o dell'altro di questi due elementi. Più esattamente affermarono che nei numeri pari predomina l'indeterminato (e quindi i numeri pari sono meno perfetti), mentre nei dispari prevale l'elemento limitante (e perciò sono più perfetti).
Proviamo ad immaginare un numero raffigurato con dei punti geometricamente disposti (in epoca arcaica si era soliti utilizzare dei sassolini per indicare il numero e per fare operazioni, da cui è derivata l'espressione "fare i calcoli" e il termine calcolare, dal latino calculus che significa "sassolino"), noteremo che il numero pari lascia un campo vuoto ad un’ipotetica freccia passante in mezzo e non trova un limite, e quindi mostra la sua difettosità (illimitatezza o infinito, nel senso di non finito, incompleto), mentre nel numero dispari, al contrario, rimane sempre una unità in più, che de-limita e de-termina, si ha quindi un numero limitato (o finito, nel senso di completo):

2 4 6
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3 5 7
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Proseguendo nelle loro attribuzione simboliche, i Pitagorici considerarono il numero dispari come "maschile", e il pari come "femminile". Inoltre essi considerarono i numeri pari come "rettangolari" e i numeri dispari come "quadrati". Tale distinzione nasceva da come i Pitagorici erano soliti disporre attorno al numero 1 le varie unità, con i numeri dispari si ottenevano dei quadrati, con i numeri pari si ottenevano dei rettangoli, come dimostrano le figure qui sopra proposte, che ci mostrano, la prima, i numeri 2, 4, 6, la seconda, i numeri 3, 5 e 7.
Un ultima annotazione, lo zero rimase invece sconosciuto ai Pitagorici e alla matematica antica.
Il 10 fu era considerato come il numero perfetto, visivamente era raffigurato come un triangolo perfetto, formato dai primi quattro numeri, ed avente il numero 4 per ogni lato (era detto la tetraktys):


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La raffigurazione mette in chiara evidenza che il 10 è uguale a 1 + 2 + 3 + 4; e che nella decade "sono contenuti in egual misura il pari (quattro pari: 2, 4, 6, 8) e il dispari (quattro dispari 3, 5, 7, 9), senza che una parte predomini sull’altra". Risultano uguali anche i numeri primi e non composti (2, 3, 5, 7) e i numeri secondi e composti (4, 6, 8, 9). I Pitagorici poi notarono che: "Il dieci possiede uguali i multipli e sottomultipli: infatti ha tre sottomultipli fino al cinque (2, 3, 5) e tre multipli di questi, da sei a dieci (6, 8, 9)". Scoprirono poi che "nel 10 sono presenti tutti i rapporti numerici, quello dell'uguale, del meno-più, e di tutti i tipi di numero, i numeri lineari, i quadrati, i cubici. È da notare come l'1 equivale al punto, il 2 alla linea, il 3 al triangolo, il 4 alla piramide: e tutti questi numeri sono principi ed elementi primi delle realtà ad essi omogenee".
Va specificato che tali interpretazione sono pure congetture e che gli interpreti sono molto divisi, per molti non è certo che il numero Uno vada escluso dalle diverse serie, anche se è molto probabile che ciò avvenisse, per i Pitagorici l'Uno era un numero atipico, come precedentemente indicato (parimpari).
Fu in tal modo che nacque la teorizzazione del "sistema decimale" (la famosa tavola pitagorica) e la codificazione della concezione della perfezione del 10 che sarà comunemente accettata per interi secoli: In una frase attribuitagli Pitagora diceva: "Il numero 10 è perfetto, ed è giusto secondo natura che tutti, sia noi Greci sia gli altri uomini, ci imbattiamo in esso nel nostro numerare, anche senza volerlo".
Tutte queste riflessioni sulla natura dei numeri portarono ad un’altra scoperta. Se il numero è ordine e armonia (cioè "l’accordo di elementi illimitati e limitanti"), e se tutto è determinato dal numero, tutto è ordine e armonia. E siccome in greco "ordine" si dice kósmos, i Pitagorici chiamarono l'universo "cosmo", ossia "ordine", concependolo come un insieme perfettamente in armonia tra tutte le sue parti.
I Pitagorici pensavano che i cieli ruotassero e che compissero tali movimenti secondo numero e armonia, producendo "una celeste musica di sfere, bellissimi concerti, che le nostre orecchie non percepiscono, o non sanno più distinguere, perché abituatesi da sempre a sentirla".
Ai Pitagorici dobbiamo un’importante scoperta: la misurabilità del tutto. È grazie a tale concezione che l’uomo ha imparato a vedere il mondo con altri occhi come una realtà perfettamente penetrabile dalla ragione. Il mondo non era più dominato da oscure e indecifrabili potenze ma andava pensato come numero; un numero che esprime ordine, razionalità e verità. Non a caso un importante esponente della scuola pitagorica, Filolao, affermava: "Tutte le cose che si conoscono hanno numero; senza questo nulla sarebbe possibile pensare né conoscere"; e, riferendosi al numero: "nessuna menzogna spira verso il numero".
Ma il pitagorismo era anche una dottrina filosofica che mirava a conseguire un importante fine, quello di praticare di un tipo di vita atto a purificare e a liberare l'anima dal corpo.
Secondo quanto affermato dalle antiche tradizioni Pitagora sarebbe stato il primo dei filosofi a sostenere la dottrina della metempsicosi, ovvero quella dottrina secondo la quale l'anima sarebbe caduta sulla terra per una colpa originaria entrando a far parte di un ciclo eterno di vita e morte ed essendo costretta a reincarnarsi in successive esistenze corporee (e non solo in forme umane, ma anche in forme di animali) per espiare quella colpa.
Le stesse fonti riferiscono che Pitagora affermava di ricordarsi delle sue precedenti vite. La dottrina, come sappiamo, non è un’invenzione di Pitagora ma proviene dagli Orfici; ma i Pitagorici modificano l'Orfismo almeno in un punto essenziale, dando all’eterno ciclo del nascere e del morire una motivazione. Il fine della vita è quello di liberare l'anima dal corpo, e per raggiungere tale fine bisogna purificarsi. I Pitagorici indicarono gli strumenti e i mezzi di purificazione per giungere a tale fine, distinguendosi nettamente dagli Orfici che invece si limitavano ad accettare la metempsicosi.
Per Pitagora il fine ultimo era quello di tornare a vivere tra gli dèi, egli cercò di insegnare ai suoi allievi e agli uomini il concetto del retto agire umano come un farsi "seguace di Dio", come un vivere in comunione con la divinità. I Pitagorici furono gli iniziatori di quel tipo di vita che fu chiamato (o che, molto probabilmente, già essi chiamarono) bíos theoretikós, "vita contemplativa", detto anche "vita pitagorica", cioè una vita spesa nella ricerca della verità e del bene tramite la conoscenza, che è la più alta "purificazione" (comunione col divino). Per tale motivo i Pitagorici diedero vita a delle comunità, delle scuole a cui erano ammesse anche le donne. La vita in comune si basava su regole precise: imponeva agli adepti l'osservanza del celibato, la comunicazione dei beni, l’alimentazione vegetariana, una serie di riti e pratiche per la purificazione del corpo e dell'anima.

Ippaso di Metaponto
prima metà del V secolo a.C.
Ippaso fu matematico in ambito geometrico e studioso della musica, considera il fuoco come principio di tutte le cose. Una leggenda narra che avendo divulgato delle dottrine segrete, tradendo in tal modo il segreto a cui erano tenuti tutti i pitagorici, sarebbe stato gettato in mare. Tale leggenda nacque probabilmente nell’ambito degli stessi matematici che, per difendere la propria assoluta adesione al pitagorismo contro gli acusmatici, volevano dimostrare che gli studi scientifici di Ippaso altro non fossero che la semplice divulgazione di teorie risalenti allo stesso Pitagora. La dottrina segreta esposta da Ippaso altro non era che la scoperta dell’incommensurabilità fra la diagonale e il lato del quadrato.

Filolao di Crotone
470 a.C. circa – tra la fine del V secolo a.C. e l’inizio del IV
Filolao di Crotone, matematico, astronomo e filosofo. Appartenente alla scuola dei pitagorici, di cui fu uno dei massimi esponenti, fu il primo a pubblicare le proprie memorie. Trasferitosi in Grecia vi diffuse le dottrine pitagoriche (soprattutto a Tebe) tornato in Italia aprì una sua scuola ed ebbe tra gli allievi Archita. Alcuni studiosi ipotizzano che Filolao non sia mai esistito, non sarebbe stato altro che un’invenzione di Platone, gli scritti che gli sono attribuiti (di cui ci sono pervenuti solo pochi frammenti) sarebbero delle contraffazioni di Speusippo. Filolao sarebbe comunque stato il primo ad organizzare sistematicamente le dottrine pitagoriche. Sempre a Filolao risale il primo accenno al moto terrestre di rivoluzione, ipotizzò che la Terra si muovesse quotidianamente intorno ad un fuoco centrale.

Archita di Taranto
Prima metà del IV secolo a.C.
Archita di Taranto, matematico e filosofo della scuola pitagorica. Della sua vita si sa ben poco, lo si diceva allievo di Filologa, godette fama di matematico brillante e mente versatile risolse alcuni problemi geometrici, dovrebbe essere l'autore del Libro VIII degli "Elementi" di Euclide e autore di interessanti teorie sulle quantità irrazionali e sulla musica. Gli sono tradizionalmente attribuiti numerosi scritti riguardanti diversi rami della conoscenza, dalla politica alla fisica, dalla filosofia alla matematica. Avrebbe elaborato una teoria con la quale avrebbe dimostrata la corrispondenza tra la musica e la matematica, avrebbe anche dimostrato l’impossibilità di esprimere il numero irrazionale con i numeri frazionari. Influenzato dalle teorie platoniche accettò la componente idealistica del pitagorismo, in particolare per quanto concerneva la natura soprasensibile dei numeri.

Timeo di Locri
Timeo di Locri, filosofo dell'antico pitagorismo. Di lui abbiamo pochissime notizie, al punto che la sua esistenza è messa in dubbio, gli vennero attribuiti dai neopitagorici alcuni scritti sull'anima del mondo e della natura. È protagonista dell'omonimo dialogo platonico.

2 commenti:

Edgardo Rossi News ha detto...

Precisazione
il 10 dei pitagorici aveva la forma di un triangolo equilatero
purtroppa qui il disegno risulta schiacciato a sinistra
NdA

DocEIR ha detto...

vale la pena di leggere